Se eri considerato una persona colta vari decenni fa , e anche se hai provato ad aggiornarti, ti senti come lo scemo del villaggio quando provi a leggere articoli appena pubblicati di fisica, chimica, biologia, medicina, informatica. Non capisci nemmeno molte delle parole che leggi. Ovvio: designano oggetti o processi che pochi anni fa non esistevano. Chi sta ai picchi più alti di scienza, tecnica e cultura , raramente affronta la fatica di spiegare a noi normali quel che ha capito o creato. Quando ci prova, non riesce a farsi capire, se non ha imparato a comunicare bene.
Non è solo questa la causa del divario crescente fra la cultura di quei picchi sempre più alti e quella della media della popolazione. Infatti il pubblico in generale è distratto dalle quantità crescenti che riceve di messaggi facili e comunicazioni improvvisate, irrilevanti e spesso false. Il livello culturale di questo corpus di banalità continua ad abbassarsi. Oltre a pettegolezzi, contiene credenze in percezioni extra-sensoriali, magie, misticismi, teorie (economiche, politiche, filosofiche) già dimostrate insussistenti.
C’è ancora chi considera come dogmi indiscutibili tutte le tesi sostenute dal materialismo storico o dalla psicanalisi. C’è ancora chi mette in dubbio la validità delle teorie evoluzionistiche.
E’ diffusa la tendenza a prendere per completamente vere quelle che in realtà sono soltanto delle ipotesi anche interessanti, ma prive di deduzioni rigorose , e viziate da interpretazioni fallaci di sotto-insiemi di grandi quantità di dati. In cosmologia, per esempio, l’esistenza del big bang è un’ipotesi, non un dogma. In climatologia molte ricostruzioni delle variazioni del passato sono persuasive e assodate, ma restano in parte oscure le loro cause. Queste sono molto numerose: sembra ingiustificata la netta preponderanza attribuita al tasso crescente di anidride carbonica atmosferica.
C’è chi si attende che ogni approccio etichettato come digitale potrà eliminare ogni ostacolo all’acquisizione di conoscenza. L’era digitale, però, non è una novità del nostro tempo. Cominciò migliaia di anni fa con la scrittura. I simboli alfabetici e numerici esprimono parole, quantità e relazioni. Lo fanno in modo univoco: non suggeriscono incerte analogie con immagini e diagrammi. Siamo diventati homo sapiens e abbiamo cominciato ad articolare parole. Siamo diventati molto più sapiens con le parole scritte e con i numeri. Trasmettiamo conoscenza se scriviamo caratteri che formano parole integrate in proposizioni corrette. I linguaggi naturali non sono fatti di parole, ma di proposizioni. Quando consideriamo solamente quelle che possono essere soltanto vere o false, applichiamo a esse l’algebra di Boole. Disponiamo di macchine con cui eseguire analisi sintattiche e logiche. Dunque “digitale” non significa, come taluno ha scritto, “che riduce ogni informazione o procedura a serie di 1 e di 0”.
È negativa la tendenza , proposta da varie parti , di tornare alla elaborazione analogica (“più veloce, più efficiente” ?). Per conseguire questi pretesi vantaggi dovremmo accettare un po’ più di errori. Per questa via sarebbe più agevole trattare big data. È vitale, invece, controllare la qualità dei dati che raccogliamo (big o no).
Vanno corretti gli errori nelle grandezze che trattiamo e non vanno discusse proiezioni illusorie. Esempio: si dibatte se il PIL varierà quest’anno di tassi diversi fra loro di millesimi di punto, mentre il parametro è affetto da errori di percento.
Nelle analisi occorre anche conoscere e usare bene il Sistema Internazionale (SI). Purtroppo anche persone autorevoli ignorano multipli e sottomultipli delle unità di misura (scrivono Mio per milioni di € invece di M€ [Megaeuro] e Mld per miliardi invece di G [Miliardi]).
Le stesse icone sono infide. Se clicchi su alcune di esse, stai dando un ordine, un’istruzione, che il disegnetto dovrebbe definire e ricordarti, ma che non specifica. L’uso delle icone è un regresso al livello dei cavernicoli. Mentre le macchine cominciano a elaborare parole in modi intelligenti, troppi uomini ne disimparano l’uso corretto.
Vanno osservate regole semplici: non usare parole di cui si ignori il significato, evitare quelle astratte.
Redimere la comunicazione dal degrado è compito arduo. Dobbiamo dare buoni esempi, ma non bastano. Protestiamo con quelle aziende che propinano forzosamente sistemi operativi , o accessi ai loro siti, che innovano goffamente, sfigurano rispetto a soluzioni ottime realizzate anni fa , e ci rendono la vita difficile.
(Roberto Vacca, 12 aprile 2021)