Undici edifici collassati in 30 giorni dall’inizio dell’anno scolastico. Quello del crollo del soffitto dell’aula magna dell’Università di Cagliari è solo l’ultimo episodio in ordine di tempo, dopo altri cedimenti gravi alla scuola elementare di Dello (Bs), alla media Gennari di Maratea (Pz), all’elementare Vittorino da Feltre di Adria (Ro), nell’istituto Fermi-Leonardo da Vinci di Empoli, in quello di via Agnano a Napoli, nella palestra della Muratori di Castiglione d’Adda (Lo), nell’ateneo di Fisciano (Sa), alla scuola elementare di via Fiuggi a Roma, alla primaria Doria di Vallecrosia (Im), al Liceo Cavour, sempre nella Capitale (che di eterno ormai conserva solo il passato glorioso di una solida bellezza dimenticata).
Li elenchiamo tutti, questi disastri dell’incuria amministrativa e di quello che Silvio Cocco, una delle figure che fa da avamposto al calcestruzzo nazionale, denuncia da decenni come il “cattivo costruire”. Solo per un caso, a Cagliari non si è giunti all’immane tragedia e il sequestro di tutto il polo umanistico del capoluogo sardo, tra via Is Mirrionis e via Trentino, vorremmo che portasse ai colpevoli di questa abiezione. I sigilli sono stati apposti, su incarico della Procura, dalla Squadra mobile della questura di Cagliari (in collaborazione con la Asl e i vigili del fuoco) e le indagini, con i primi accertamenti per verificare la tenuta strutturale dell’intero blocco, potrebbero rivelare già le storture strutturali dell’edificio e confutare i primi – scontati – scaricabarile a colpi di “era imprevedibile”, “è stato fatto tutto il possibile”, “i controlli non avevano rilevato nessuna problematica”.
Se l’edificio universitario è praticamente collassato su se stesso, lasciando come rovine antiche a testimonianza solo la parte inferiore della facciata e le colonne portanti, non si può parlare ancora e pateticamente di fatalità, dovendo “ringraziare che questo crollo sia avvenuto a tarda sera, quando le lezioni erano già concluse”, come ha dichiarato il sindaco cittadino, anticipando la difesa dell’amministrazione con un classico “Facciamo tanti controlli sugli edifici e nonostante questo non sono mai sufficienti”. Se i controlli sono fatti a regola d’arte, e se le costruzioni sono realizzate come si deve, ogni elemento è sufficiente per salvare vite e costruzioni civili. Il problema è sempre lo stesso e assume varie facce, a seconda dei destinatari. Imperizia e disonestà (delle imprese costruttrici), acquiescenza (degli amministratori pubblici), disinteresse (degli uffici pubblici e di chi è preposto alla gestione e al controllo delle strutture). Poi, non ci si venga a dire che mettiamo sotto accusa le imprese. Non puntiamo il dito contro tutte le imprese edili, ma se questi disastri avvengono così di frequente, non raccontiamoci la favola che si tratta di poche mele marce. L’illegalità diffusa del costruire e l’avidità di guadagno a tutti i costi – persino a costo della vita altrui – ha fatto troppe vittime in questo paese, ferito da terremoti, crolli di palazzi, ponti spezzati, frane rovinose e via elencando, come in una veglia funebre senza fine.

Al “cattivo costruire” si aggiunge poi la strage infinita dei morti sul lavoro. L’ultimo a Castelverde (Cremona), nell’azienda MG Prefabbricati, nell’identità di un operaio schiacciato da una lastra di cemento. Si chiamava El Mustapha Bendahbi, aveva 50 anni ed era di origini marocchine. Forse un inconsulto movimento della gru che stava movimentando il carico, e poi la caduta del manufatto e la tragedia. Quali responsabilità? Quali rimedi? Come fermare tutto questo? Solo con l’onestà e la serietà del lavoro. Non con il risparmio di risorse, con la mancata formazione, con gli incentivi pubblici distribuiti a pioggia. Altrimenti, alla nostra eccellenza italiana finirà per non credere più nessuno. E qualcuno già non crede più, da tempo, all’alibi di quella creatività screanzata dell’arrangiarsi che finisce per ferire a morte una nazione di persone serie e per bene che ormai si sente minoranza. Nel Paese dei crolli.