- di Giorgio Ferrarini, Presidente Assobeton
Nella rassegna stampa quotidiana dell’Associazione che rappresento non è inusuale imbattersi nell’ormai abusata colpevolizzazione del settore delle costruzioni per i “mali” dei nostri territori e delle nostre città e il vanto che, da un’Amministrazione all’altra, viene evidenziato nella capacità di ridurre le iniziative edilizie ed infrastrutturali.
Purtroppo questo tarlo ha colpito e sta colpendo tutte le Amministrazioni locali, di qualsiasi colorazione politica esse siano, che, però, dimenticano come l’investimento “in edilizia e nelle infrastrutture” sia il miglior veicolo di accrescimento del benessere sociale essendo il più produttivo in assoluto per il PIL del Paese (e dei singoli territori) con un moltiplicatore che supera le 2,5 volte e che non necessariamente risulta essere in contrasto con il risparmio del suolo (altro mantra che sui media va di moda, senza, molto spesso, capirne completamente il significato).
Per i titoli ad effetto possiamo incolpare i giornalisti, tuttavia è sempre troppo facile e diffusa a livello istituzionale l’adozione di atteggiamenti e modi di dire non corrispondenti alla verità che, ormai da troppo tempo, stanno fortemente penalizzando il nostro settore. Accomunare semplicisticamente il termine “cemento” a situazioni urbanistiche, talvolta disastrose, quali edificazioni incontrollate, abusivismi ecc., è diventata una prassi, tipicamente italiana, che sminuisce l’importanza e colpisce l’orgoglio di tutte le Aziende che hanno utilizzato detto materiale, lo utilizzano e, mi auguro, per lungo tempo, continueranno ad utilizzarlo risultando una delle migliori materie prime impiegate nelle costruzioni che permette uno sviluppo sostenibile della nostra Società.
Mi preme sottolineare che gli edifici possono essere costruiti non solo con tipologie in calcestruzzo (il cemento è solo una delle componenti, non il materiale), ma anche con strutture in legno o in acciaio o in pietra o in laterizio che impattano allo stesso modo sul consumo del suolo, a deturpare il paesaggio, eccetera, eccetera, eccetera; non rilevo però nell’opinione pubblica una così forte avversione verso queste ultime o così pesanti paragoni squalificanti come invece sono “riservati” al calcestruzzo (o cemento).
Non mi dilungo volutamente né su confronti tecnici inerenti alle migliori prestazioni statiche, antisismiche, termiche o di resistenza al fuoco delle strutture in calcestruzzo rispetto a quelle realizzate con gli altri materiali né su analisi di quanto effettivamente sia biologico o ignifugo il legno o riutilizzabile l’acciaio, come molto spesso viene, impropriamente, esaltato dai media.
Vorrei ricordare, inoltre, che ancora oggi sono innumerevoli i campi di impiego dei manufatti prefabbricati in calcestruzzo che contribuiscono al miglioramento o riqualificazione ambientale delle nostre città: ad esempio, i cordoli a delimitazioni delle aree a verde o delle piste ciclabili, i masselli autobloccanti per le pavimentazioni stradali, drenanti e non, i pozzetti e le tubazioni per la raccolta delle acque, le vasche per i trattamenti di depurazione, i blocchi per il consolidamento delle sponde di acque fluviali, solo per citare alcuni esempi.
Ritengo pertanto che sia giunto il momento di individuare finalmente, in maniera netta ed inequivocabile, nell’errata pregressa programmazione urbanistica, spesso gestita in maniera ottusa, illogica e feudale, ma non certo dai cosiddetti “produttori di cementificazione”, la vera causa che ha permesso il proliferare di sviluppi urbanistici disordinati e di porre fine, quindi, al tetro gioco di individuarne i responsabili in un materiale o, ancor peggio, in una categoria produttiva che ha espresso un apporto sempre decisivo in termini di investimenti, ricerca, innovazione e, pur in un decennio estremamente difficile come quello trascorso, di mantenimento dei livelli occupazionali.