mercoledì, Dicembre 31, 2025

Vogliamo vivere. Il Primo Maggio e quei lavoratori che ci chiedono di parlare (con coraggio)

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Oggi, Primo Maggio, si celebra la Festa del Lavoro. Per come vanno le cose, qui in Italia, si dovrebbe celebrare il Funerale del Lavoro, se guardiamo al nulla che viene attuato contro il fenomeno intollerabile dei morti (e dei feriti gravi) nei cantieri e nelle fabbriche del nostro paese. È ancora il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ad alzare la voce con toni indignati, di fronte all’eccidio senza fine di donne e uomini che subiscono, da vittime senza giustizia, il sopruso di chi non fa niente per evitare tragedie letali e restituire dignità a operai e tecnici troppo spesso sfruttati e abbandonati a una cultura che non dà loro garanzie di vita dignitosa e sicurezza fisica e psicologica.

Allora saremo noi a dare un nome chiaro a questa vergogna, scrivendo il nostro atto d’accusa nei confronti dei responsabili di questo degrado umano. Partiamo da un dato che riguarda il settore del sollevamento. La logistica e il trasporto merci, in Italia, vale circa 135 miliardi di euro all’anno, con un’incidenza sul Pil nazionale dell’8,2%. Che dati trionfali, vero? Peccato che, allo stesso settore, vada attribuita la responsabilità del 17% di tutti gli infortuni mortali sul lavoro, sempre a livello nazionale – senza contare la produzione di un terzo dei gas inquinanti emessi dai trasporti e quasi metà degli ossidi di azoto e delle polveri sottili attribuibili al solo trasporto su strada. Noi osservatori e analisti assidui di tutto ciò che avviene nel mondo del sollevamento, troviamo, a conforto delle statistiche più favorevoli, esempi virtuosi di grandi realtà imprenditoriali che investono costantemente sulla sicurezza e sulla formazione dei propri lavoratori. Citiamo alcuni di questi campioni meritevoli (molti di loro appartengono al comparto del sollevamento cantieristico e industriale): si chiamano Autovictor, Vernazza, Mollo Noleggio, Centro di Ricerca e Formazione Merlo e altri ancora, a formare una schiera d’avanguardia contro il degrado e l’illegalità diffusa nel cosiddetto Mondo del Lavoro. Ma che mondo è quello di committenti (quasi sempre grandi gruppi della logistica nazionale e dei trasporti) che impongono ai propri lavoratori tempistiche sempre più insostenibili livelli di produttività al limite dello sfruttamento “trasformando lavoratori e lavoratrici da persone a semplici strumenti di profitto”, come ha rivendicato, in un recente intervento, un sindacalista chiamato commentare l’ennesima morte sul lavoro? Ve lo diciamo noi: è un mondo malato, mafioso, gestito da soggetti senza scrupoli che senza scrupoli dovrebbero essere sanzionati e puniti dalle autorità giudiziarie che si occupano di far rispettare le leggi (di farle rispettare, non di indicare come aggirarle, e questo va ribadito in un Paese dalla giustizia ancora malata e inefficiente).

Lavoratori perennemente condannati da contratti a tempo determinato, rinnovati di volta in volta, sottoposti a un carico quotidiano eccessivo e al ricatto della mancanza di tutele, forniti di macchine per la movimentazione e mezzi di trasporto inadeguati a garantire le necessarie condizioni di sicurezza ed ergonomia operativa. Carrelli elevatori e piattaforme aeree vecchie e spesso non a norma, prive di quelli strumenti essenziali che attenuano il rischio ed elevano competenze e consapevolezza del compito svolto negli ambienti di lavoro della logistica, dell’intermodalità, dei porti, dei cantieri. Chi è responsabile di questa decadenza morale, prima ancora che produttiva? Lo sappiamo benissimo: basta scorrere la lista dei “grandi”, magari quotati in Borsa, spesso tronfi sulle prime pagine dei giornali quotidiani e sulle cronache economiche benevolmente supine ai big del profitto senza vantaggio sociale. C’è l’imbarazzo della scelta; si va dal gruppo immobiliare che guadagna cifre immense dalla vergogna di subappalti indecenti e senza controllo, passando per il grande trasportatore – al soldo della multinazionale – che schiavizza i propri conducenti, costringendoli a turni di consegna dalle condizioni massacranti (mettendo a repentaglio anche la nostra vita di ignari automobilisti, sulle strade che percorriamo ogni giorno), per finire con il reuccio della logistica integrata (spesso in accordi con gruppi di pressione politica e lobby opache). Mentre i veri imprenditori del lavoro – spesso poco citati dalla stampa mainstream – ne fanno crescere l’etica, il progresso tecnologico e la formazione, ci sono i farabutti paludati e patinati che danzano sulla vita di chi lavora, in un groviglio inestricabile di cooperative e appalti malfidati, dove gli interessi dei grandi gruppi si intrecciano ad ambizioni di partito e alla malavita organizzata.

Liberiamoci da tutto questo, facciamo piazza pulita di chi pubblicizza la propria sporca attività (fosse anche miliardaria, come spesso accade), eleviamo a esempi di virtù e giustizia gli imprenditori che lo meritano davvero. Nominiamo loro, sui nostri giornali e sulle riviste – non solo quelle di settore -, diamo respiro all’Italia che vale, a quella che fa crescere il Paese e le persone. A chi sceglie la vita e crede ancora in quell’Italia, “repubblica fondata sul lavoro” che i nostri padri ci hanno lasciato. Oggi, guardandoci negli occhi, non sarebbero orgogliosi di questa Democrazia dei Vinti. Insieme, cerchiamo di dimostrare, un anno dopo l’altro, con la rabbia dell’impegno, che cambiare si può. Per la vita delle persone per bene e di tutti i lavoratori onesti.

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