La Fagioli, società leader a livello internazionale nel settore dei trasporti eccezionali e dei sollevamenti, ha preso parte a ogni singola fase della ricostruzione del nuovo viadotto Polcevera di Genova. I conci realizzati alla Fincantieri di Castellamare di Stabia sono stati trasferiti in cantiere grazie alle tecnologie e ai mezzi del colosso di Sant’Ilario d’Enza (RE). Ne abbiamo parlato con il CEO della società Fabio Belli.
Dottor Belli, è corretto affermare che nel cantiere dell’ex ponte Morandi sono state messe in campo tutte le tecnologie da voi consolidate negli anni passati, essendo stati coinvolti nei trasporti eccezionali, nello smantellamento e della ricostruzione della nuova infrastruttura?
Si è decisamente corretto, molte delle competenze sono scese in campo. il coinvolgimento aziendale è stato trasversale in termini di business unit e mezzi utilizzati: project management, ingegneria per spedizioni marittime, trasporti eccezionali, smontaggi, montaggi, grandi movimentazioni e sollevamenti. Fagioli racchiude tutte le competenze di ingegneria e logistica necessarie per qualsiasi progetto nel mondo: nello specifico la chiave del successo è stata un coordinamento perfetto di tutte le attività richieste dai committenti. Da segnalare l’altissima attenzione alle problematiche in materia di salute, sicurezza ed ambiente che un progetto del genere richiede. Non ultimo l’avere affrontato le attività più critiche in piena crisi Covid-19.
Può descriverci nel dettaglio le varie fasi che hanno coinvolto la vostra azienda?
Fagioli è stata l’unica società coinvolta sia nella demolizione tramite un ATI “ad hoc”, sia nella fase di trasporto e sollevamento del nuovo ponte per conto del Consorzio denominato “Per Genova”. In dettaglio Fagioli ha trasportato via mare e su strada tutti gli elementi che compongono il ponte, partendo dagli stabilimenti di produzione di Castellammare di Stabia, passando dalle banchine del porto di Genova sino al cantiere del Nuovo Ponte sul Polcevera. Una volta che i pezzi del ponte hanno toccato terra a Genova sono stati trasferiti con mezzi speciali e percorsi dedicati attraverso la città: 237 sezioni con un peso che variava da 56 a 89 tonnellate per un totale di 60 notti. Ogni convoglio ha viaggiato di notte per non impattare sulla viabilità cittadina, già sottoposta ad un forte stress dopo il crollo del ponte Morandi. Tutte le operazioni sono state gestite da personale specializzato nella movimentazione di pezzi larghi sino a 10 metri che hanno sfiorato muri ed abitazioni attraverso le strade di Genova. Arrivati in cantiere, ogni singolo elemento ha composto le campate che oggi vediamo sopra la Val Polcevera. Come un puzzle, tutto è stato assemblato a terra e posizionato sotto alle pile in cemento armato prima di essere sollevato e posizionato a 50 metri di altezza. Le campate più grandi erano lunghe 100 metri e pesavano circa 2000 tonnellate. Per movimentarle abbiamo utilizzato dei moduli di carrelli SPMT studiando ogni minimo dettaglio del percorso. Infine, i sollevamenti sono stati eseguiti con sistemi strand jacks e gru cingolate . Ogni operazione di varo ha incontrato difficoltà tecniche differenti e tra i più complessi occorre evidenziare il passaggio attraverso il Polcevera e il superamento della linea ferroviaria in esercizio. Arrivati in quota, il nostro compito è stato quello di posizionare con precisione millimetrica i vari conci per dare forma al nuovo ponte.
Può dirci quanti mezzi e quanta forza lavoro è stata impiegata in cantiere? Quale è stata la maggiore difficoltà incontrata oltre a quella di riuscire a realizzare il lavoro nei tempi previsti nonostante la pandemia del Covid?
Abbiamo utilizzato personale specializzato che ha lavorato in doppio turno sette giorni su sette con una presenza giornaliera di circa 30-40 operatori che hanno gestito operativamente le complessità del progetto. Nei momenti con maggiori attività, abbiamo impegnato 140 assi SPMT, tre sistemi di strand jacks da 600 tonnellate di capacità, tre gru di grandi portate da 600 tonnellate e 1200 tonnellate e gru minori. La difficoltà maggiore in progetti di questo tipo è mantenere alta la concentrazione: l’interesse mediatico era altissimo e i tempi per realizzare l’opera erano molto brevi. La bravura degli operatori e dei tecnici è stata quella di rendere facile anche le operazioni più difficili. Le continue manifestazioni di apprezzamento che riceviamo da tutto il mondo per il lavoro svolto testimoniano la perfetta riuscita di un progetto importante e molto complesso. Il tutto svolgendo le attività con la massima attenzione alla sicurezza, salute ed ambiente in piena crisi “Covid-19.
Se è vero che ogni cantiere costituisce una grande opportunità di apprendimento e miglioramento/sviluppo delle tecnologie già consolidate, ritiene che l’esperienza fatta a Genova possa costituire un valore aggiunto per la Fagioli per proporsi a nuove fasce di mercato quali appunto quello della demolizione di infrastrutture e della ricostruzione e/o degli interventi di manutenzione su infrastrutture esistenti?
Corretto: ogni progetto, cantiere e specifica soluzione adottata costituisce una nuova opportunità. Nello specifico riteniamo che alcune delle soluzioni che abbiamo adottato, in passato più conosciute ed apprezzate in altri settori di business (per esempio l’oil &gas) possano dare un grosso contributo anche al settore delle infrastrutture. La possibilità di movimentare grossi componenti di elevato peso in totale sicurezza e a costi contenuti, applicando concetti di modularizzazione più conosciuti in altri mercati potrebbe diventare una chiave di successo nei prossimi anni. La possibilità di costruire componenti in aree di prefabbricazione ad alta efficienza ed economicità e di installarli in poco tempo, con migliorie significative delle tempistiche progettuali, con una consistente riduzione del personale di cantiere porterebbe anche ad enormi vantaggi in termini di sicurezza, riducendo per esempio il lavoro in quota. Credo che il “modello” Genova possa e debba essere utilizzato in futuro come esempio e divenire la “normalità”. Fagioli vorrà sicuramente essere protagonista nei prossimi anni nel panorama delle infrastrutture, collaborando pro-attivamente sia nelle attività di ingegneria che nella realizzazione fisica delle nuove opere civili necessarie per rilanciare non solo l’Italia ma Europa e Stati Uniti che ancora utilizzano strutture del primo dopo guerra.